CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
GIUSEPPE TESAURO
presentate il 3 giugno 1992 ( *1 )
Singer Presidente,
Signori Giudid,
Premessa: il contenzioso comunitario relativo alla commercializzazione di terminali non omologati
La presente procedura — così come la causa 92/91, Taillandier, nella quale pronuncio le conclusioni in data odierna — si iscrive nell'ambito di una serie di rinvìi pregiudiziali ( 1 ), tutti inerenti ad un identico fatto: la messa in commercio (e talvolta anche la semplice detenzione) di apparecchi terminali di telecomunicazioni (per lo più, telefoni, telefoni cordless ed apparecchi telefax) non previamente autorizzati od omologati dalle competenti autorità nazionali ( 2 ).
L'insorgere, in un arco di tempo tutto sommato breve, di un contenzioso così nutrito non può costituire un fenomeno puramente casuale. Ad uno sguardo più attento, esso appare l'indice, la spia, di una tensione manifestatasi, almeno in determinati Paesi, in relazione alla commercializzazione di terminali da parte di operatori indipendenti (non legati cioè agli organismi pubblici operanti nel settore delle telecomunicazioni). Dette tensioni trovano la loro premessa nel processo di liberalizzazione realizzatosi, negli ultimi anni, sul mercato dei terminali di telecomunicazioni; un processo in larga parte dipeso dall'innovazione tecnologica e dai relativi mutamenti intervenuti sul piano dei rapporti economici e giuridici ( 3 ), che ha portato, progressivamente, all'eliminazione dei monopoli e delle esclusive nazionali e, quindi, al riconoscimento del diritto degli operatori economici di importare e di commercializzare liberamente gli apparecchi in questione.
A livello comunitario, il principio della liberalizzazione, già individuato quale obiettivo essenziale nel Libro verde della Commissione sulle telecomunicazioni ( 4 ), è stato poi sancito, sul piano normativo, dalla direttiva della Commissione 16 maggio 1988, 88/301/CEE, relativa alla concorrenza sui mercati dei terminali di telecomunicazioni ( 5 ) (in prosieguo: la «direttiva terminali») ed è stato definitivamente consacrato dalla ben nota sentenza della Corte del 19 marzo 1991 (causa 202/88, Francia/Commissione, Race, pag. 1223; in prosieguo: la «sentenza terminali»).
L'affermazione del diritto di importare e commercializzare i terminali non è valsa peraltro ad assicurare, di per sé, una effettiva integrazione dei mercati. È evidente infatti che l'importazione e, soprattutto, la commercializzazione dei terminali sono rimaste, almeno in parte, soggette ad un complesso sistema di regole e controlli nazionali. Ora, l'applicazione di tali regole e controlli, se è in certa misura indispensabile, in mancanza di norme di matrice comunitaria o internazionale, può nondimeno tradursi, in presenza di determinate circostanze, in un ostacolo agli scambi ingiustificato o quanto meno sproporzionato rispetto agli obiettivi (legittimi) perseguiti. Di qui la necessità che siano predisposte adeguate garanzie destinate appunto ad evitare che la libertà di importare e vendere apparecchi terminali resti un vuoto principio, privo di contenuto concreto.
Fra tali garanzie, la prima, e forse la più importante, è quella, enunciata nel Libro verde e prescritta dall'art. 6 della direttiva terminali, che impone l'indipendenza (o, come anche si afferma, la separazione) delle funzioni di regolamentazione e controllo (ivi compresa l'omologazione) dei terminali rispetto alle attività di natura economico-commerciale; a questa fondamentale garanzia, altre se ne possono aggiugere in relazione alie procedure di adozione ed al contenuto stesso delle specifiche tecniche nazionali, ovvero al corretto svolgimento dei controlli di conformità degli apparecchi alle specifiche medesime.
Ciò precisato, risulta agevole rilevare che la definizione della portata di tali garanzie costituisce la questione centrale del contenzioso inerente alla commercializzazione di terminali non omologati. Rispetto a tale questione si manifestano invero due interessi contrapposti: per un verso, l'interesse degli operatori economici a poter commercializzare i terminali il più liberamente possibile, e comunque al riparo da vincoli o restrizioni prive di giustificazione obiettiva; e, per l'altro, l'interesse pubblico a che detta commercializzazione si svolga nel rispetto di norme e meccanismi che soli possono tutelare talune esigenze essenziali, prime fra tutte la sicurezza degli utenti e degli operatori ed il buon funzionamento della rete pubblica di telecomunicazioni.
Un primo, rilevante contributo alla soluzione di tale questione la Corte lo ha dato con la citata sentenza RTT/GB-Inno-BM. Rispetto a questo precedente, la presente procedura dovrebbe consentire un ulteriore approfondimento; e ciò — a nostro avviso — non tanto per la specificità dei profili giuridici evocati, quanto per la circostanza che la causa Decoster è la prima, fra quelle citate, ad investire fatti svoltisi dopo l'entrata in vigore della direttiva terminali.
Il regime francese relativo ai terminali suscettibili di essere collegati alla rete di telecomunicazioni dello Stato
In base agli articoli D 440 e ss del codice francese delle P e T, gli apparecchi terminali (telefonici, telegrafici e radioelettrici) possono essere forniti sia dall'amministrazione delle P e T sia da operatori privati concorrenti. In questo secondo caso, l'amministrazione non interviene nel rapporto fra utente e fornitore, ma impone l'omologazione {agrément) dell'apparecchio in questione (art. D 444 del codice delle P e T, quale modificato dall'art. 3 del decreto n. 85-336 del 12 marzo 1985).
In considerazione di tale principio, ed al fine di regolamentare la commercializzazione di apparecchi terminali suscettibili di essere collegati alla rete pubblica di telecomunicazioni, il governo francese ha adottato, I'll luglio 1985, il decreto n. 85-712. L'art. 2 di tale decreto stabilisce che gli apparecchi terminali possono essere fabbricati per il mercato interno, importati, detenuti per la vendita, messi in vendita ovvero distribuiti a titolo gratuito od oneroso solo qualora siano conformi alle disposizioni sancite dal decreto stesso.
Ai sensi degli artt. 3 e 4, gli apparecchi di cui trattasi debbono rispondere ad un certo numero di requisiti essenziali destinati a garantire sia il buon funzionamento della rete sia la sicurezza degli utenti.
È a tale scopo che l'art. 6 del decreto medesimo stabilisce che i fabbricanti, gli importatori, i rivenditori ed i distributori di terminali devono giustificare L conformità degli apparecchi in questione rispetto ai requisiti essenziali elencati agli artt. 3 e 4.
Al riguardo, sempre l'art. 6 prevede che una tale giustificazione possa essere fornita dall'interessato mediante presentazione di uno dei quattro documenti seguenti: un rapporto redatto da un organismo autorizzato dal ministro per l'industria; un'omologazione (agrément) rilasciata in applicazione del codice delle poste e telecomunicazioni; un certificato di qualificazione rilasciato in applicazione della legge n. 78-23, del 10 gennaio 1978, sulla protezione e l'informazione dei consumatori; altro documento riconosciuto equivalente con decreto del ministro per l'industria.
Al fine di dare esecuzione al decreto n. 85-712, il Ministère du redéploiment industriel et du commerce extérieur ha emesso, il 10 novembre 1985, un «parere» relativo ai terminali suscettibili di essere allacciati alla rete di telecomunicazioni dello Stato. Il parere contiene anzitutto una lista, aggiornata al 30 settembre 1985, delle norme e specifiche tecniche che possono essere utilizzate in applicazione degli artt. 3 e 4 del decreto n. 85-712 e stabilisce che gli apparecchi conformi a tali norme o specificazioni sono ritenuti conformi agli artt. 3 e 4 precitati.
Il parere precisa inoltre in che modo gli interessati possono giustificare la conformità dei terminali, in ossequio a quanto prescritto dall'art. 6 del decreto n. 85-712. In merito, è stabilito nel parere che:
—
il Centre national d'études des télécommunications (CNET) è stato riconosciuto dal ministro per l'industria ai fini del rilascio del «rapporto» previsto dall'art. 6 precitato;
—
l'omologazione (agrément) è rilasciata dalla direction generale des télécommunications, in applicazione del codice delle P e T, agli apparecchi conformi alle speaficazioni contemplate dalla lista allegata al parere medesimo;
—
gli altri giustificativi di conformità, di cui all'art. 6, debbono essere successivamente istituiti.
Va peraltro sottolineato che dal dibattito processuale non risulta se, successivamente al parere del novembre 1985, siano stati istituiti documenti giustificativi diversi dall'omologazione e dal rapporto del CNET.
La procedura principale
I fatti oggetto della procedura principale sono di estrema semplicità: la signora Decoster ha commercializzato, nel periodo maggio-ottobre 1989, terminali di telecomunicazioni (in particolare, apparecchi telefax) senza aver previamente ottenuto né l'omologazione né altro documento riconosciuto idoneo a giustificare la conformità degli apparecchi alle esigenze essenziali di cui agli artt. 2 e 3 del decreto n. 85-712. Anzi, risulta dall'ordinanza di rinvio che la signora Decoster non ha nemmeno richiesto il rilascio dei documenti in parola.
In relazione a tali fatti, la signora Decoster è stata sottoposta a procedimento penale e condannata in primo grado ad un'ammenda di 50000 FF. Il giudice di prima istanza ha infatti ritenuto che la commercializzazione di terminali privi dei documenti giustificativi, tassativamente prescritti dal decreto n. 85-712, configurasse il reato di frode in commercio ai sensi dell'art. 1 della legge 1o agosto 1905.
Né in primo grado, né in sede di appello, l'imputata ha contestato la materialità dei fatti ascrittile. Essa tuttavia ne respinge la rilevanza penale, affermando che la commercializzazione di terminali privi di omologazione o di altra giustificazione di conformità non costituisce un illecito, dal momento che il decreto n. 85-712, che impone la previa acquisizione di tali documenti, sarebbe inapplicabile in quanto in contrasto con talune disposizioni della direttiva terminali, nonché della direttiva del Consiglio 28 marzo 1983, 83/189/CEE, che prevede una procedura di informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche ( 6 ) (in prosieguo: la «direttiva norme tecniche»).
Due sono le censure al riguardo formulate dalla signora Decoster e di cui fa stato l'ordinanza di rinvio.
La prima censura ha ad oggetto la violazione dell'art. 6 della direttiva terminali. Ai sensi di tale disposizione:
«Gli Stati membri provvedono affinché a decorrere dal 1o luglio 1989 la formulazione delle specifiche (...) e il controllo della loro applicazione, nonché l'omologazione siano svolti da un ente indipendente dalle imprese pubbliche e private che offrono beni e/o servizi nel settore delle telecomunicazioni».
L'imputata sostiene che, all'epoca dei fatti, l'autorità incaricata, in Francia, di formalizzare le specifiche tecniche e di verificare la conformità degli apparecchi ai requisiti prescritti non fosse indipendente dall'organismo che gestiva la rete pubblica di telecomunicazioni e che commercializzava, al contempo, apparecchi terminali in concorrenza con altri operatori economici. Ne consegue — sempre secondo l'imputata — che il decreto n. 85-712 deve essere disapplicato, giacché costringe gli operatori economici a sottostare a specifiche tecniche ed a procedure di controllo rispettivamente definite e gestite da un organismo privo dell'essenziale garanzia di indipendenza richiesta dalla direttiva comunitaria.
Quanto alla seconda censura, questa ha ad oggetto la violazione delle disposizioni della direttiva norme tecniche e della stessa direttiva terminali, che prevedono l'obbligo degli Stati membri di comunicare, in via preventiva, alla Commissione i progetti di norme e specifiche tecniche inerenti a taluni prodotti, fra cui, segnatamente, i terminali di telecomunicazioni. In merito, l'imputata afferma che le specifiche tecniche relative agli apparecchi in lite sono state adottate senza effettuare la preventiva comunicazione stabilita dalla legislazione comunitaria: ciò che nella specie comporterebbe l'inapplicabilità del decreto n. 85-712 e, di conseguenza, il diritto della signora Decoster a commercializzare liberamente gli apparecchi di cui trattasi, vale a dire «en dehors de toute procedure d'agrément ou d'homologation».
Tenuto conto delle deduzioni dell'imputata, il giudice di appello ha ritenuto necessario rivolgere alla Corte tre quesiti pregiudiziali inerenti, appunto, all'efficacia diretta delle direttive menzionate ed alle conseguenze che se ne devono trarre in ordine all'applicabilità nel caso di specie del decreto nazionale litigioso ( 7 ).
Va peraltro sottolineato che nel dibattito processuale svoltosi dinanzi alla Corte la signora Decoster ha sviluppato argomenti riguardanti problemi che non sono compresi fra quelli trattati dall'ordinanza di rinvio. In effetti, oltre a riprendere i punti relativi al difetto di indipendenza dell'autorità di regolamentazione e controllo ed al difetto di comunicazione delle specifiche tecniche rilevanti (rispettivamente, chapitre II e chapitre I delle osservazioni), essa ha anche evocato i seguenti tre aspetti: l'esistenza di pratiche discriminatorie, da parte dell'autorità amministrativa francese, in danno di terminali importati da altri Stati membri (chapitre III delle osservazioni); l'esistenza di pratiche di abuso di posizione dominante da parte di France Télécom (chapitre IV delle osservazioni); la questione dell'opponibilità delle specifiche tecniche nazionali, non armonizzate a livello comunitario, a terminali che hanno già ricevuto un'omologazione in un altro Stato membro (chapitre V delle osservazioni).
L'analisi che segue concerne essenzialmente la questione dell'indipendenza dell'organismo nazionale di regolamentazione e controllo (v. infra, sub A). Gli altri profili evocati, per le ragioni che saranno successivamente indicate, verranno esaminati sinteticamente (v. infra, sub B).
A — Sull'indipendenza dell'organismo che formula le specifiche tecniche, che ne controlla l'applicazione e che procede all'omologazione
a) La base giuridica dell'obbligo di indipendenza
Come rilevato, il principio secondo cui gli Stati membri devono affidare il compito di formulare specifiche tecniche, di controllarne l'applicazione e di svolgere le relative procedure di omologazione ad enti indipendenti dagli organismi, privati o pubblici, che forniscano beni o servizi sul mercato delle telecomunicazioni — già prefigurato dal Libro verde della Commissione — è stato espressamente sancito dall'art. 6 della direttiva terminali.
I ‘considerando’ dell'atto mettono bene in luce come la norma costituisca una disposizione essenziale nel quadro del complessivo disegno di liberalizzazione del mercato dei terminali di telecomunicazioni, cui s'ispira la direttiva in parola. La garanzia di indipendenza e, in definitiva, d'imparzialità delle funzioni di regolamentazione, controllo ed omologazione è infatti giustamente rappresentatata come un passaggio-chiave per assicurare che sul mercato di cui trattasi non si verifichino situazioni di conflitto d'interessi e prevalgano, quindi, condizioni di trasparenza e di effettiva parità di concorrenza ( 8 ). L'importanza di tale garanzia è, del resto, concordemente sottolineata nei commenti relativi all'evoluzione recente del diritto europeo delle telecomunicazioni ( 9 ).
Come rilevato, la validità della norma (unitamente ad altre disposizioni della direttiva terminali) è stata confermata dalla Corte nella sentenza terminali. Dalla pronuncia si ricavano due indicazioni rilevanti per il caso di specie. In primo luogo, la Corte ha riconosciuto che, in base all'art. 90, n. 3, del Trattato, la Commissione dispone del potere di adottare atti aventi natura normativa, destinati a «préciser les obligations découhnt du Traite» ( 10 ). In secondo luogo, la Corte ha stabilito che l'art. 6 della direttiva terminali non è in contrasto con il Trattato. La Corte si è pronunciata al riguardo in termini generali, senza precisare quali siano le disposizioni del trattato rispetto alle quali viene valutata la compatibilità dell'art. 6 della direttiva. Nella motivazione della sentenza si riprendono in realtà i concetti formulati nei ‘considerando’ dell'atto, dianzi citati, e si rileva che:
«un système de concurrence non faussée, tel que celui prévu par le traité, ne peut être garanti que si l'égalité des chances entre les différents opérateurs économiques est assurée. Confier à une entreprise qui commercialise des appareils terminaux la tâche de formaliser des spécifications auxquelles devront répondre les appareils terminaux, de contrôler leur application et d'agréer ces appareils revient à lui confier le pouvoir de déterminer, à son gré, quels sont les appareils terminaux susceptibles d'être raccordés au réseau public et à lui octroyer ainsi un avantage évident sur ses concurrents».
La Corte sembra dunque far proprio l'approccio della Commissione secondo cui, in tanto si può ritenere che sussistano eque condizioni di concorrenza, in quanto il sistema istituito dagli Stati membri garantisca indipendenza ed imparzialità della regolamentazione e dei controlli, il che implica la separazione di tali funzioni dalle attività di carattere economico-commerciale.
Tale impostazione è stata ulteriormente confermata dalla recente pronuncia RTT/GB-Inno-BM. La sentenza — relativa a fatti svoltisi in epoca precedente all'entrata in vigore della direttiva terminali — precisa anzitutto, in termini generali, che costituisce di per sé una violazione degli artt. 3, lett. f), 90 ed 86 del Trattato il fatto che un organismo che ha il monopolio (legale) della gestione della rete di telecomunicazioni venga a disporre, in virtù di misure statuali, della possibilità di falsare la concorrenza sul mercato, collegato e distinto, degli apparecchi terminali.
Come si evince dalla motivazione della pronuncia, una tale distorsione di concorrenza deve ritenersi sussistere qualora l'organismo che gestisce, in monopolio, la rete di telecomunicazioni cumuli poi l'attività di commercializzazione di terminali con le responsabilità di formalizzare le relative specifiche tecniche, nonché di controllarne l'applicazione e di omologare gli apparecchi medesimi.
Secondo la Corte, infatti:
«le maintien d'une concurrence effective et la garantie de transparence exigent que la formalisation des spécifications techniques, le contrôle de leur application et l'agrément soient effectués par une entité indépendante des entreprises publiques ou privées offrant des biens ou des services concurrents dans le domaine des télécommunications».
La pronuncia, dunque, chiarisce che l'obbligo di garantire l'indipendenza delle funzioni di regolamentazione e controllo dei terminali di telecomunicazioni trova, almeno in presenza di determinate circostanze, la sua base legale nell'art. 86 del Trattato, letto in combinazione con gli artt. 3, lett. f) e 90. Quanto alle circostanze che devono essere presenti perché sia applicabile il combinato disposto delle norme summenzionate, queste possono riassumersi, schematicamente, nei termini seguenti:
—
l'organismo di cui trattasi detiene una posizione dominante sul mercato dei servizi di telecomunicazione;
—
altera la concorrenza sul mercato contiguo dei terminali;
—
e ciò in virtù di una misura nazionale che gli consente di influenzare unilateralmente le condizioni di commercializzazione dei terminali.
Deve poi aggiungersi — ancorché la sentenza RTT/GB-Inno-BM non si pronunci espressamente al riguardo — che l'obbligo d'indipendenza in discorso può trovare fondamento non soltanto negli artt. 3, lett. f), 86 e 90, ma anche nell'art. 30 del Trattato. Conformemente alla giurisprudenza della Corte, infatti, una normativa nazionale che finisca col facilitare uno sfruttamento abusivo di posizione dominante atto a pregiudicare il commercio intracomunitário è di regola incompatibile con il divieto di misure di effetto equivalente sancito dall'art. 30 (v. sentenze 10 dicembre 1991, causa C-179/90, Merci Convenzionali Porto di Genova, Race, pag. I-5889 e 16 novembre 1977, causa 13/77, Inno, Race. pag. 2115). E va sottolineato che, nella sentenza RTT/GB-Inno-BM, la Corte ha puntualmente rilevato che le misure nazionali litigiose erano suscettibili d'influenzare le importazioni di apparecchi in provenienza da altri Stati membri e, di conseguenza, di pregiudicare il commercio fra Stati membri ( 11 ) ai sensi dell'art. 86.
Ma v'è di più. Un tale pregiudizio agli scambi può infatti sussistere anche nell'ipotesi in cui non vi sia una posizione dominante quale quella individuata nella sentenza RTT/GB-Inno-BM. In effetti, la confusione, o il cumulo, in capo ad un unico organismo, delle funzioni di commercializzazione, da un lato, e di regolamentazione e controllo, dall'altro, se altera la «égalité des chances» fra gli operatori concorrenti, si traduce automaticamente in una discriminazione, almeno potenziale, dei prodotti importati: e ciò indipendentemente dalla circostanza che l'organismo in questione sia presente, e goda o meno di un monopolio o comunque di una posizione dominante, sul distinto mercato dei servizi di telecomunicazioni.
Ora, è proprio questa più ampia prospettiva quella che risulta dall'art. 6 della direttiva terminali. La norma, infatti, esige in termini assoluti la separazione fra l'attività di commercializzazione e l'attività di regolamentazione e controllo ed indica chiaramente che detta separazione s'impone anche qualora l'organismo che commercializza terminali non sia al contempo operante sul mercato dei servizi di telecomunicazioni ( 12 ).
Alla luce di tali considerazioni ritengo quindi che l'obbligo specifico sancito dall'art. 6 della direttiva terminali, pur assumendo una portata più vasta rispetto a quella definita dalla Corte nella sua sentenza RTT/GB-Inno-BM, non rappresenti un quid novi in rapporto al Trattato, nel senso che non vale a produrre effetti giuridici sostanzialmente diversi da quelli che già derivavano, per gli Stati membri, dall'art. 30 e dal combinato disposto degli artt. 3, lett. f), 86 e 90 del Trattato.
b) L'effetto diretto dell'art. 6 della direttiva terminali
Tanto premesso, la risposta alle questioni interpretative poste nella presente procedura appare relativamente semplice. Anzittutto, per quanto riguarda l'efficacia diretta dell'art. 6 della direttiva terminali (che costituisce l'oggetto del secondo quesito formulato dal giudice nazionale), mi sembra che tale efficacia debba essere riconosciuta senza alcuna esitazione. La norma invero — come rilevato — non fa che precisare obblighi che il Trattato stesso prevede ed impone agli Stati membri. Ebbene, sarebbe illogico considerare che la norma specifica adottata dalla Commissione ex an. 90, n. 3, sia priva di effetto diretto allorché le disposizioni generali del Trattato che essa precisa sono viceversa direttamente efficaci. A ciò deve aggiungersi che se è vero che l'art. 6, nel prevedere l'obbligo degli Stati membri di affidare ad un ente indipendente le funzioni di regolamentazione e controllo, accorda una certa discrezionalità agli Stati stessi circa il sistema da istituire per conseguire tale obiettivo, è anche vero che l'art. 6, letto alla luce dei ‘considerando’ della direttiva, stabilisce un divieto chiaro, preciso ed incondizionato di mantenere in vigore qualsiasi sistema che determini, in capo allo stesso soggetto, il cumulo delle funzioni di regolamentazione e controllo con la fornitura di beni e/o servizi nel settore delle telecomunicazioni. Inoltre, poiché detto divieto è destinato a garantire che sul mercato di cui trattasi vi siano eguali condizioni di concorrenza, è del pari evidente che la norma è destinata a tutelare i legittimi interessi delle imprese operanti su tale mercato: imprese che, in virtù dell'art. 6 e delle norme del Trattato citate, possono pretendere che gli Stati membri non conferiscano funzioni di regolamentazione e controllo ad un operatore, pubblico o privato, loro concorrente.
e) Il regime comunitario vigente prima del termine iniziale di cui all'art. 6 della direttiva terminali
Stabilita l'efficacia diretta dell'art. 6, occorre soffermarsi brevemente su una seconda questione. Appare infatti opportuno precisare quale fosse il regime giuridico esistente prima del termine iniziale (il 1o luglio 1989) da cui l'art. 6 fa decorrere l'obbligo degli Stati membri di garantire l'indipendenza degli enti incaricati della formulazione delle specifiche, del controllo e dell'omologazione. Vero è che quest'ultimo aspetto non è stato puntualmente evocato dal giudice di rinvio; ma vero è anche che esso presenta un'indubbia rilevanza ai fini della soluzione della controversia, dal momento che i fatti di causa (vale a dire la commercializzazione da parte della signora Decoster di terminali non omologati) si sono svolti nel periodo maggio-ottobre 1989 e, dunque, proprio a cavallo del termine impartito dall'art. 6.
Alla luce delle osservazioni dianzi svolte, peraltro, la risposta a tale questione non presenta alcuna difficoltà. Basti rilevare che, anche prima del termine di cui all'art. 6, e precedentemente alla stessa adozione della direttiva terminali, l'obbligo d'indipendenza in parola esisteva, e si imponeva agli Stati membri, in virtù delle disposizioni del Trattato relative alla circolazione delle merci ed alla concorrenza. La sentenza RTT/GB-Inno-BM, che, come indicato, si riferisce ad un episodio analogo a quello oggetto della presente procedura, ma svoltosi in epoca antecedente all'emanazione della direttiva terminali, dimostra infatti che una regolamentazione che non garantisce l'indipendenza della regolamentazione e del controllo dei terminali, che dà adito quindi a situazioni di conflitto d'interessi, è, almeno in presenza di determinate circostanze, di per sé incompatibile con gli art. 3, lett. f), 86 e 90 del Trattato. Inoltre, per le ragioni dianzi indicate, appare corretto ritenere che, anche qualora n