CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
F.G. JACOBS
presentate il 9 giugno 2005 1(1)
Causa C-120/04
Medion AG
contro
Thomson multimedia Sales Germany & Austria GmbH
1. Nella presente causa, l’Oberlandesgericht Düsseldorf (Corte d’appello di Düsseldorf) ha sottoposto alla Corte una questione pregiudiziale relativa all’interpretazione dell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi d’impresa (2).
2. Tale disposizione attribuisce al titolare del marchio d’impresa il diritto di vietare ai terzi di usare nel commercio «un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio d’impresa».
3. In sostanza, il giudice del rinvio chiede se vi sia un rischio di confusione per il pubblico ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b), nel caso in cui un segno denominativo composito o un segno denominativo/figurativo (nella fattispecie, THOMSON LIFE) includa un nome commerciale seguito da un marchio anteriore (nella fattispecie, LIFE) consistente di un’unica parola dotata di «normale efficacia distintiva», e che, sebbene non sia tale da caratterizzare o plasmare l’impressione generale destata dal segno composito, vi conserva una certa autonomia distintiva. La questione sollevata dal giudice a quo si ispira in particolare alla «Prägetheorie» (3), una dottrina sviluppata nell’ambito del diritto tedesco sui marchi dal Bundesgerichtshof (Corte federale di cassazione), illustrata più avanti.
Fatti e procedimento nella causa principale
4. L’attrice, Medion AG, è titolare del marchio denominativo tedesco «LIFE», registrato per apparecchi elettronici di intrattenimento.
5. La convenuta, Thomson multimedia Sales Germany & Austria GmbH, definita dal giudice del rinvio come una delle maggiori imprese al mondo nel settore dell’elettronica di intrattenimento, contraddistingue parte dei suoi prodotti in tale settore merceologico con il sintagma «THOMSON LIFE», talvolta come semplice segno denominativo, talaltra come segno denominativo/figurativo in cui la parola «THOMSON» appare con differente dimensione, colore o forma.
6. In primo grado, non avendo riscontrato alcun rischio di confusione con il marchio «LIFE», il Landgericht Düsseldorf (Tribunale locale) ha respinto la domanda dell’attrice volta a inibire alla convenuta l’uso del segno «THOMSON LIFE».
7. L’attrice ha interposto gravame innanzi al giudice del rinvio, il quale ha sospeso il procedimento e sottoposto alla Corte di giustizia la predetta questione pregiudiziale.
8. Il giudice del rinvio espone la giurisprudenza del Bundesgerichtshof che si rifà alla «Prägetheorie» nei seguenti termini. Allorché si valuta la somiglianza dei marchi d’impresa nei casi in cui singole componenti di marchi concorrenti coincidono, occorre prendere le mosse dall’impressione generale destata dai marchi; si deve accertare se l’elemento coincidente caratterizzi il marchio composito al punto che, nell’impressione generale, gli altri elementi restano ampiamente marginali. Per ravvisare un rischio di confusione non è dunque sufficiente che l’elemento coincidente semplicemente concorra all’impressione generale del segno. Né rileva che un segno incorporato in un segno composito vi abbia conservato una sua autonomia distintiva. Tuttavia, le singole componenti possono avere un ruolo autonomo, indipendente dalla funzione caratterizzante delle altre, rispetto all’immagine generale del prodotto; le componenti devono quindi essere considerate singolarmente e confrontate. In generale, non si attribuisce valore pregnante a quell’elemento di un segno che, nel mondo commerciale, contraddistingue non già il prodotto in sé, bensì l’azienda da cui proviene. Qualora il segno indicativo di un’azienda sia riconoscibile in quanto tale, di norma dovrebbe soccombere nell’impressione generale, poiché il mercato interessato identifica la vera e propria designazione del prodotto rispetto all’altra componente del segno.
9. Occorre comunque accertare, ogni volta, se eccezionalmente non valga altro e se, dal punto di vista del mercato interessato, non venga invece in primo piano l’indicazione del produttore. Decisive sono le circostanze specifiche e gli usi nel settore di mercato in questione. Il Bundesgerichtshof ha ammesso che, nei settori della birra e della moda, si attribuisce particolare importanza al nome del produttore, per cui i riferimenti al produttore in tali settori sono sempre caratterizzanti dell’impressione d’insieme suscitata dal segno; di conseguenza, nel caso di incorporazione di un marchio anteriore in un segno composito contenente l’indicazione del produttore, non sussisterebbe alcun rischio di confusione. Se tali sono gli usi nel settore di mercato pertinente, allora l’indicazione del produttore in un segno composito caratterizza l’impressione generale anche nel caso in cui la restante componente abbia una forza distintiva non già debole, bensì normale. Ciò vale a fortiori quando il nome del produttore ha un’efficacia insolitamente distintiva.
10. Applicando i suddetti principi al caso in esame, il giudice del rinvio perviene ad escludere un rischio di confusione, in quanto il nome del produttore «THOMSON» caratterizzerebbe l’impressione generale destata dal contrassegno controverso «THOMSON LIFE»; l’elemento «LIFE» non sarebbe, dunque, di per sé, caratterizzante. Dalla documentazione prodotta dalle parti risulta che, nel settore commerciale interessato, segnatamente quello degli apparecchi elettronici di intrattenimento, gli usi in materia di denominazione attribuiscono maggior risalto al nome del produttore. In tale settore, il prodotto è solitamente indicato col nome del produttore insieme a una combinazione alfanumerica difficile da memorizzare.
11. Il giudice del rinvio aggiunge che neppure l’analisi del rischio di confusione con riferimento al suono, alla grafica e al significato del contrassegno controverso, condurrebbe a risultati diversi; sotto ogni profilo, il nome del produttore «THOMSON» influenza in maniera essenziale l’impressione complessiva del segno «THOMSON LIFE».
12. Nondimeno, il giudice del rinvio rileva che, in casi come quello in esame, l’interpretazione della nozione di rischio di confusione data dal Bundesgerichtshof non è pacificamente accettata in Germania. Viene avvertito infatti come iniquo che un segno anteriore, quand’anche dotato di una normale efficacia distintiva, possa essere usurpato da un terzo attraverso l’aggiunta del nome della sua impresa. Secondo questa opposta tesi, nel caso di specie sussisterebbe un rischio di confusione. Nel segno composito «THOMSON LIFE», il marchio conteso «LIFE» conserva una sua autonomia distintiva. Le due parole stanno l’una accanto all’altra senza un collegamento. Non c’è alcun nesso concettuale tra «THOMSON» e «LIFE». Dal punto di vista figurativo, le due parole sono rappresentate diversamente, per colore e anche per grafica, in tre delle quattro forme di utilizzo contestate. I prodotti contraddistinti da tale segno composito possono essere intesi come prodotti «LIFE» della ditta «THOMSON»: ciò può far sorgere l’equivoco che i prodotti dell’attrice recanti il solo contrassegno «LIFE» provengano dalla convenuta.
13. Da ultimo, il giudice del rinvio osserva che nella sentenza Sabel (4) la Corte di giustizia ha dichiarato che la valutazione del rischio di confusione in caso di somiglianza dei segni deve basarsi sull’impressione generale che questi destano. Tuttavia, la Corte non ha ancora esaminato la situazione in cui, applicando tale criterio, si possa impedire a un terzo di usurpare un marchio altrui attraverso l’aggiunta del proprio nome commerciale.
14. L’attrice, la convenuta e la Commissione hanno depositato osservazioni scritte ed erano presenti in udienza.
Valutazione
15. In sostanza, il giudice del rinvio chiede se vi sia un rischio di confusione per il pubblico ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva nel caso in cui un segno denominativo composito o un segno denominativo/figurativo includa un nome commerciale seguito da un marchio anteriore consistente di un’unica parola dotata di «normale efficacia distintiva», e che, sebbene non sia tale da caratterizzare o plasmare l’impressione generale destata dal segno composito, vi conserva un’autonomia distintiva.
16. Stando a quanto esposto nella decisione di rinvio, in primo grado il Landgericht Düsseldorf ha respinto la domanda di accertamento della violazione perché non ha ravvisato alcun rischio di confusione. Esso ha attribuito pari importanza alle componenti del segno composito THOMSON LIFE e ne ha concluso che l’elemento coincidente «LIFE» non fosse pertanto in grado di plasmare né di caratterizzare l’impressione generale del segno in questione.
17. Dalla decisione di rinvio, nonché dalle osservazioni sottoposte alla Corte, appare evidente che tale giudizio rifletteva la Prägetheorie, sviluppata dal Bundesgerichtshof e sopra sintetizzata ai paragrafi 8 e 9. Il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se detta teoria sia conforme alla direttiva.
18. Innanzi tutto, non sono convinto che una teoria specifica, che articola formalmente una serie di regole destinate ad applicarsi automaticamente in determinati casi, sia sempre, o necessariamente, un approccio utile al fine di risolvere un dato conflitto tra marchi d’impresa. A mio avviso, i principi che la Corte ha già affermato nelle sentenze sulle disposizioni della direttiva che vengono qui in rilievo, cioè gli artt. 4, n. 1, lett. b), e 5, n. 1, lett. b) (5), costituiscono un quadro concettuale sufficiente per la soluzione di simili controversie. Penso che il ricorso ad una risposta teorica comporti il rischio che i giudici nazionali si sottraggano dall’applicare essi stessi i criteri essenziali della somiglianza e della confusione, previsti dal legislatore comunitario e sviluppati dalla Corte. Qualora invece una teoria fornisca semplicemente indicazioni pertinenti su come applicare questi criteri essenziali in un determinato settore, oppure a particolari categorie di marchi, ritengo che essa possa nondimeno essere utile, a condizione che il giudice nazionale tenga sempre presente che, in definitiva, egli deve assicurare che nel singolo caso siano applicati i principi stabiliti dalla Corte.
19. Ciò premesso, esporrò di seguito tali principi.
20. Il decimo ‘considerando’ della direttiva stabilisce che la valutazione del rischio di confusione «dipende da numerosi fattori, e segnatamente dalla notorietà del marchio di impresa sul mercato, dall’associazione che può essere fatta tra il marchio di impresa e il segno (...), dal grado di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi designati (...)». Di riflesso, la Corte ha affermato che il rischio di confusione deve essere oggetto di valutazione globale, in considerazione di tutti i fattori pertinenti nel caso di specie (6). Spetta al giudice nazionale l’accertamento positivo dell’esistenza di un rischio di confusione (7).
21. La somiglianza tra i segni in questione è dunque una condizione necessaria, ma non sufficiente, per il riscontro di un rischio di confusione: i giudici nazionali devono pure valutare una serie di altri fattori, su quali la Corte ha richiamato l’attenzione.
22. È evidente che vi sia una certa interdipendenza tra i fattori che vengono in considerazione in una valutazione globale del rischio di confusione, e in particolare tra la somiglianza tra marchio e segno e quella dei prodotti o dei servizi designati. Così, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi, e viceversa (8).
23. Peraltro, il rischio di confusione è tanto più elevato, quanto più rilevante è il carattere distintivo del marchio anteriore, sia intrinsecamente, sia grazie alla notorietà di cui esso gode presso il pubblico (9). Compete al giudice nazionale stabilire il grado di autonomia distintiva di un marchio; a tal fine, egli dovrà effettuare una globale valutazione della maggiore o minore attitudine del marchio a identificare i beni o servizi per i quali è stato registrato come provenienti da una determinata impresa, e, quindi, a distinguere tali beni o servizi da quelli di altre imprese (10).
24. Inoltre, il riferimento dell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva al rischio di co